Investment

Rassegna trimestrale degli investimenti – Q4 2020

by James Macpherson

“Il capitalismo senza il fallimento è come il cattolicesimo senza l’inferno. I mercati funzionano al meglio quando i soggetti partecipanti hanno un sano timore della perdita.” Howard Marks

“Gli Stati Uniti ora hanno imboccato un sentiero per cui ogni presidente in carica sembra intenzionato ad aggiungere uno stock di debito all’interno del libro maestro nazionale pari all’ammontare complessivo generato da tutti i suoi predecessori.” Gavekal 18.12.2020

“Le persone mi chiedono sempre dove le prospettive siano favorevoli, ma è una domanda mal posta. Invece è corretto chiedersi dove le prospettive siano più scadenti.” John Templeton

Nel quarto trimestre del 2020, i mercati hanno proseguito nel solco della loro vigorosa ripresa sulla scia di due eventi. In primis, l’annuncio di diversi vaccini efficaci contro il Covid e l’avvio delle relative campagne vaccinali. Tali vaccinazioni pongono solide basi per augurarsi un ritorno alla normalità nel corso del 2021. In secondo luogo, l’esito delle elezioni negli Stati Uniti ha rallegrato i mercati che hanno accolto con favore la prospettiva di una presidenza Biden unitamente a un Senato a trazione repubblicana in grado di tenere sotto controllo le politiche presidenziali. Il voto del 5 gennaio in Georgia per i ballottaggi al Senato potenzialmente può modificare i rapporti di forza; allo stato dei fatti Biden disporrà di un margine inferiore per ampliare il deficit di bilancio, introdurre una regolamentazione più stringente per le Big Tech e aumentare le tasse. Di conseguenza i mercati hanno concluso l’anno molto positivamente, con un rialzo pari al 14% dell’indice MSCI World espresso in USD, una ripresa notevole che si è registrata a partire da fine marzo, al culmine dello sgomento innescato dal Covid, quando l’indice era arrivato a perdere il 32%.

Il crollo economico del 2020 si è tradotto in una recessione molto inusuale, contraddistinta da una tenuta dei redditi personali, dallo sprint dell’edilizia residenziale, dal boom di offerte pubbliche iniziali (IPO) osservato nei mercati azionari e infine dalla capacità di emettere debito a tassi di interesse molto bassi da parte delle imprese, nonostante un deterioramento delle loro condizioni commerciali. A fine anno l’ammontare del debito a rendimento negativo ha raggiunto la cifra record di 17,7 trilioni di dollari e circa l’80% delle obbligazioni investment grade mondiali sono negoziate a rendimenti pari o inferiori all’1%, dato che i governi hanno fatto tutto il possibile per ovviare alla crisi mediante misure di sostegno. Nonostante ciò la pandemia ha ampliato il divario sociale. Il gap in termini di reddito non è mai stato così ampio ed è probabile che i governi continuino a sostenere le fasce di reddito più basse, anche se ciò conduce a un surriscaldamento dell’economia generato da una vigorosa crescita dei consumi. A differenza del 2009, le misure di stimolo non sono a beneficio dei bilanci traballanti delle banche ma sono dirette al finanziamento della spesa pubblica che confluisce all’interno dell’economia reale.

Per esempio, si stima che quest’anno il governo statunitense abbia accumulato un deficit di bilancio pari a 4 trilioni di dollari, finanziato in gran parte dalla Federal Reserve. Il clima politico è mutato, allo stato attuale le politiche di austerità sono cancellate dal dibattito. A tal proposito, le elezioni negli Stati Uniti sono state significative. Malgrado la vittoria di Biden, l’elezione presidenziale è stata un testa a testa in relazione ai voti degli operai, un bacino elettorale all’interno del quale Trump ha dato prova di esser competitivo. Uno dei suoi risultati passati sotto traccia è identificabile nell’inversione del calo relativo dei redditi della fascia meno abbiente della popolazione, dopo quarant’anni di trend negativo. I Democratici non vorranno rischiare di perdere di nuovo tale bacino elettorale e probabilmente attueranno tutte le misure possibili per consolidare il voto operaio, mediante politiche favorevoli al mondo del lavoro. Le obbligazioni con rendimenti negativi appaiono in contrasto con tali politiche. Sono sempre più numerosi i segnali di un aumento dell’inflazione. Le misure di stimolo adottate dal governo, gli interventi monetari della Fed, le interruzioni sul versante della supply chain dovute a una serie di dispute con la Cina e una ripresa impetuosa collegata alla ricostituzione delle scorte post-Covid messa in atto dalle economie, tutto ciò fa presagire un aumento dell’inflazione. In aggiunta, vi sarà una forte richiamo a “sgonfiare” l’enorme stock di debito accumulato nell’ultimo decennio. Per esempio, Gavekal stima che il fabbisogno di cassa del governo degli Stati Uniti abbia aggiunto 12.800 dollari di debito pro capite solo nel 2020. Storicamente non rileviamo alcuna casistica di paese che opti per la deflazione al posto dell’inflazione al fine di ridurre un colossale stock di debito. Tuttavia, i mercati obbligazionari non hanno ancora assimilato gli argomenti appena esposti. A novembre il Perù ha emesso un’obbligazione del valore di 4 miliardi di USD a 101 anni con scadenza al 2121. Il Perù è andato ben otto volte in default lungo il corso dei suoi 200 anni di storia, nonostante ciò le sottoscrizioni hanno superato di quattro volte il volume dell’emissione, a fronte di un’esigua cedola del 3,23%. Una tale allocazione dei risparmi della collettività appare quantomeno insolita. Si possono solo formulare ipotesi sul livello dei corsi dei titoli obbligazionari qualora le banche centrali non agissero così decisamente nei mercati, evitando la messa in luce dei prezzi “reali”. Tuttavia, dato lo status quo attuale, le obbligazioni restano poco appetibili per l’investitore alla ricerca di rendimenti tangibili o che più semplicemente mira alla conservazione del capitale. La liquidità è messa a repentaglio nelle fasi di inflazione e i rendimenti obbligazionari offrono una protezione inadeguata contro un ipotetico aumento dei prezzi. In definitiva, sarà probabilmente l’inflazione a porre fine alla lunga fase toro del mercato obbligazionario, che si protrae dal lontano 1981. Già oggi gran parte degli investitori privati nutre delle remore a investire nei mercati obbligazionari, essendo questi ultimi sostenuti unicamente dagli acquisti da parte delle banche centrali. Se si concretizza un aumento dell’inflazione, gli investitori procederanno alla vendita delle loro partecipazioni obbligazionarie, al fine di cercare rendimenti più sicuri altrove. Tale trend eserciterà una pressione al rialzo sui tassi di interesse, tale da indurre gli investitori a investire di nuovo nel segmento obbligazionario. Potrebbe così delinearsi una dinamica pluridecennale, simile alla prolungata discesa verso tassi di interesse negativi.

Con il naturale rifugio dei mercati obbligazionari in totale disarmo, gli investitori attivi sono costretti a volgere lo sguardo verso le azioni.

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Le performance passate non sono in nessun caso indicative per i futuri risultati. le opinioni, le strategie ed i prodotti finanziari descritti in questo documento possono non essere idonei per tutti gli investitori. I giudizi espressi sono valutazioni correnti relative solamente alla data che appare sul documento.

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